Friday, October 5, 2018

Chiacchierata oltreoceano con Alberto Bisin, professore alla NYU, editorialista di Repubblica, ma soprattutto acuto osservatore.

Intervista ad Alberto Bisin, economista italiano, professore alla New York University ed editorialista de La Repubblica, membro di vari istituti: NBER di Boston, CESS di NYU, CIREQ dell’Università di Montreal e IZA di Bonn; è Associate Editor presso varie riviste accademiche internazionali, tra cui Journal of Economic Theory e Economic Theory.

di Maria Grazia Cangelli

Un economista italiano all'estero quali differenze esperisce tra l'università italiana e quella USA?

Quando ho lasciato l'Italia, a fine anni '80 inizio '90, le differenze erano enormi. In economia le università USA (non tutte, ovviamente, ma moltissime) erano centri di ricerca, mentre quelle italiane producevano insegnamento di basso livello e ricerca ancora peggiore (non tutte ovviamente ma la stragrande maggioranza, purtroppo). L'Italia, per varie ragioni, era rimasta culturalmente molto arretrata in termini di pensiero economico (non era stato sempre così, anzi, ma questa è un'altra storia). Le università erano centri di potere, anche e soprattutto politico, i concorsi spesso corrotti, insomma, una pervasiva inefficienza le affossava.

Oggi le cose sono in parte cambiate. Ci sono sacche di ottima ricerca economica in Italia, dappertutto, non solo nelle università che tutti conoscono come la Bocconi. Restano sacche però. C'è anche moltissimo nulla (o peggio). Ho recentemente partecipato alla valutazione dell'università italiana (per economia) e ho visto cose che voi umani.... Le cose peggiori che ho visto comunque sono la difesa delle rendite e degli interessi pre-costituiti da parte della classe accademica, anche da parte di "insospettabili", accademici che rifiutano di farsi valutare con argomenti speciosi (tipo, "le valutazioni non sono perfette", ovvio che non lo sono, e allora?) e politici che temono di perderne il supporto. 

Anche l'insegnamento è spesso migliorato, però. La globalizzazione dell'attività editoriale e la disponibilità di risorse online ha enormemente e rapidamente svecchiato il sistema. Anche la maggiore comprensione dell'inglese (la lingua franca dell'economia) da parte degli studenti ha favorito l'insegnamento (e ha messo fine alla pratica dei testi mal tradotti, quando non in parte copiati,  in italiano). 

Insomma, i germogli ci sono. Ma e' anche pieno di gente che cerca  di calpestarli invece di annaffiarli.

Art by Michela Terzi


Di cosa si occupa la tua ricerca? 

Io nasco come un teorico, economista matematico. Negli anni però i miei interessi si sono ampliati e oggi mi occupo anche di finanza, di teoria delle decisioni comportamentali (behavioral economics), di distribuzione della ricchezza, e sempre di più di temi al confine tra economia e sociologia (cultura, istituzioni, cose così). Non è buona cosa avere interessi cosi' sparsi, ma ormai mi diverto così e così è. 

Dove va la ricerca economica riguardo al decision making process del consumatore?

Molta della ricerca sulla teoria delle decisioni del consumatore oggi riguarda situazioni in cui il consumatore si comporta in modo men che completamente razionale. Per questo oggi lavoriamo a stretto contatto con psicologi e neuro-scienziati. Il metodo è sempre quello  economico, teorie formali (modelli matematici spesso) e test empirici, ma i temi e le questioni sono nuovi e estremamente interessanti. Come spiegare e comprendere  "anomalie" di comportamento, in condizioni di incertezza ad esempio, o nelle scelte che richiedono valutazioni in diversi momenti nel tempo, sono i temi di ricerca più "hot" ed interessanti. 

Che cosa ci dici sulla crisi dei paesi emergenti? C'è un ruolo dei fondi sovrani nell'attuale scenario? Che dire le paure di chi li riteneva players politici oltre che economici?  Si sono attenuate o intensificate?

Ovviamente la crisi è molto seria. Gli economisti in generale non hanno strumenti per prevedere le crisi, ne' per capire bene come si svolgeranno. Ci sono ragioni solide ed importanti perché sia così. Questo non toglie che molti ci provino comunque, solitamente non i più sofisticati. Gli incentivi a farlo sono molto alti. Eviterò quindi. Mi pare, però, utile notare che con la Cina sta succedendo quello che qualche decennio fa è successo col Giappone: commentatori che cantano le lodi del "nuovo sistema economico" nella fase di crescita e che poi scompaiono nella difficile ma necessaria fase di stabilizzazione, quando le cose possono andare male. La Cina - e molti altri paesi  emergenti - hanno economie dinamiche ma piene di squilibri, specialmente corruzione rampante, mercati finanziari distorti, intervento pubblico inefficiente. Su questi blocchi si fermano e lì restano senza appropriate riforme. Difficile dire se riusciranno a superarli, se il loro sistema politico-sociale glielo permetterà. 

Il lavoro di Piketty sulla distribuzione della ricchezza ha monopolizzato per un bel po' il dibattito sul tema, ma quanto ha influito davvero?

Thomas Piketty è un economista sofisticato, un uomo molto intelligente, ma anche un intellettuale motivato in modo determinante da passione ed interessi politici (mi permetto questo giudizio perché lo conosco bene - eravamo assieme a MIT a meta' anni 90 e anche oggi ci si vede a Paris School of Economics, dove sono spesso per lavoro). Il lavoro accademico suo e dei suoi co-autori, ad esempio Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, è di assoluta qualità, specie nell'aspetto della elaborazione dei dati. Il libro è stata un'operazione politica abilissima: ha dato giustificazione intellettuale a posizioni che la sinistra europea e anche americana aveva preso e voleva prendere. Di qui il grande successo, il supporto quasi-totale (nonostante quel po' naturale di invidia)  da parte di personaggi come Paul Krugman e Joe Stiglitz in Usa e di tutta l'intellighenzia in Europa. Intellettuali e giornalisti che non distinguono reddito da ricchezza, stock da flussi, sono saltati sul carro eccitati come ragazzini orfani di Occupy Wall Street. Brutto da vedere dall'esterno: la ricerca accademica piegata agli interessi della politica, il sacco indiscriminato di idee e dati operato da intellettuali e giornalisti. Rimane che l'analisi teorica che spieghi cosa sta succedendo alla distribuzione del reddito e della ricchezza, che ne comprenda determinanti e dinamica, è ancora abbastanza di la' da venire, nonostante il dibattito sia dominato da posizioni ideologiche di nessun interesse. Ma si procede, la ricerca su questo tema è molto attiva e non è da escludere che il libro di Piketty abbia avuto un effetto positivo almeno in questo senso.

Thursday, September 13, 2018

Battaglia attorno al 5G

di Maria Grazia Cangelli e Salvatore Dimaggio


Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina non sono un mistero per nessuno. Le due grandi economie si fronteggiano imponendo dazi ed immaginando le terribili contromosse dell'altra parte, in un intreccio di storie scritte con i caliginosi caratteri dei regolamenti commerciali e degli standard tecnologici. Ad essere scossa da questa competizione ed è anche la WTO, teatro di ricorsi di ambo le parti che si accusano reciprocamente di pratiche e politiche commerciali poco corrette. Eppure una delle battaglie più grandi e più sofferte, si combatte per un mercato che ancora non esiste, ma che è giustamente giudicato oggettivamente strategico, anzi imprescindibile nei prossimi anni: la connessione 5G. Chi pensasse che il 5G sia semplicemente una connessione che consente a smartphone, tablet e portatili di andare un po' più veloci su internet, sarebbe come il proverbiale uomo che guarda il dito e non la luna. Il 5G con la sua grandissima velocità di connessione e la sua stabilità, consentirà a tecnologie come l'auto a guida autonoma e, più in generale l'Internet of Things, di uscire dalla concept phase ed avviarsi alla produzione. È difficile oggi quantificare l'impatto dell'avvento di nuovi oggetti connessi, d’altra parte, come scriveva William Gibson, “ogni futuro immaginato diventa obsoleto come un gelato che si scioglie mentre uscite dalla gelateria all'angolo”. Di qualcosa, però, possiamo essere ragionevolmente certi: questo impatto sarà enorme. Certamente si creeranno nuovi mercati, nuovi settori merceologici; alcune aziende nasceranno e si imporranno come colossi ed altre faticheranno ad adeguarsi alla produzione di dispositivi che dialogano con altri dispositivi. Oggi è difficile stabilire chi saranno i dinosauri cancellati da questo meteorite tecnologico e quali i mammiferi che ripopoleranno la terra.

In questo settore la Cina sta investendo moltissimo ed è spesso accusata di pompare i dipartimenti Ricerca e Sviluppo delle proprie aziende con occulti finanziamenti pubblici che falserebbero il gioco del mercato a proprio vantaggio. In ballo c'è una tecnologia che in se stessa vale cifre incalcolabili e che è il presupposto di buona parte delle tecnologie che debutteranno nei prossimi anni. È una guerra per accaparrarsi i copyright che poi diventeranno gli standard di questa grande infrastruttura. Di brevetti che consentono la nascita di una nuova tecnologia ce ne sono veramente tanti, centinaia se non addirittura migliaia e le aziende compiono lotte strenue per conquistarli. E’ una gara di biathlon: innanzitutto bisogna brevettare una tecnologia valida, affidabile e conveniente, poi bisogna convincere le autorità internazionali che fissano gli standard ad adottare la propria e non quelle della concorrenza. Tra le varie accuse mosse dalle industrie occidentali a quelle cinesi, ed al governo cinese in se stesso, vi è quella di stare pervicacemente e maliziosamente imponendo tanti nomi del proprio paese nelle autorità internazionali di regolamentazione. Probabilmente la Cina fa suo il fondamentale principio enunciato da Sun Tzu nell'arte della guerra, secondo il quale le guerre vanno vinte prima di combatterle. Ciò di cui la Cina viene accusata è di voler “addomesticare” quelle che saranno le decisioni degli organismi che dovranno stabilire quali saranno gli standard della nuova connessione ultraveloce. Quel che è certo è che attorno a questi organismi internazionali si è giocata, si sta giocando e si giocherà con callidità un'azione di lobbyng estremamente intensa.
Va anche detto che cinesi saranno più della metà degli 1,3 miliardi di abbonati globali a queste reti mobili ad alta velocità entro il 2023, secondo CCS Insight, mentre Stati Uniti ed Europa arriveranno solo 337 milioni di abbonati complessivi. Di conseguenza, è comprensibile che il Paese voglia avere un predominio in questa nuova connessione wireless. 

Ovviamente in tutto ciò, c'è anche in ballo la questione sicurezza: tecnologie cinesi adottate uniformemente come standard, offrirebbero al paese asiatico, non soltanto un predominio commerciale, ma anche la possibilità di accedere a dati riservati di governi o aziende occidentali. All'inizio del 2018 l'amministrazione Trump aveva addirittura avanzato l'ipotesi di una rete 5G completamente sviluppata e gestita dallo stato, per evitare il pericolo del cyberspionaggio cinese. Certamente non ha disteso il clima, l'articolo di Le Monde nel quale veniva raccontato un episodio clamoroso avvenuto ad Addis Abeba nella sede dell'Unione Africana, un modernissimo palazzo donato dalla Cina, già completo di un potente cuore informatico Made in China, nel quale i leader africani due volte all'anno si riuniscono per fare il punto sulle questioni del continente. Alcuni tecnici avevano scoperto un inspiegabile picco di dati in uscita in piena notte quando gli uffici erano vuoti. Dopo gli accertamenti del caso hanno scoperto che dal gennaio 2012 al gennaio 2017 tutti i dati dell'edificio venivano sistematicamente spostati in un misterioso server di Shanghai.

Come si può capire, è una battaglia a tutto tondo e perderla porterà danni significativi per parecchi anni. L'Europa non è estranea a questo confronto. I due campioni europei che possono dire la loro sul 5G sono entrambi scandinavi: Ericsson e Nokia. Un recente prestito da mezzo miliardo di euro dell'Unione Europea a questa seconda azienda sembrerebbe dimostrare che la UE punta soprattutto sul Nokia per realizzare la propria infrastruttura 5G e per non restare tagliata fuori dalla guerra dei brevetti strategici. 

Mentre dagli scarni lacerti di tutti questi intrighi che giungono a noi, cerchiamo di immaginare questo futuro immenso fiume di dati e cerchiamo di indovinare se la maggior parte dei pesci che vi nuoteranno, proverranno dal Mississippi, dal Reno o dal giallo fiume Huang He, quello che sappiamo e che i gestori di telefonia mobile rappresenteranno il letto di questo fiume gorgogliante. E’ facile, dunque, essere indotti a pensare che questi operatori stiano festeggiando. Le cose, tuttavia, non stanno affatto così. La concorrenza nel settore è agguerrita, i margini di profitto sono piuttosto contenuti e c'è all'orizzonte uno spettro giudicato dalle compagnie come terribile. Si tratta di una nuova tecnologia apparentemente banale, ma in grado di scatenare una concorrenza così feroce tra i gestori da ridurne i margini di profitto quasi a zero. Parliamo della cosiddetta eSIM. La eSIM (la “e” sta per embedded, non electronic) è una SIM virtuale, vale a dire che questa tecnologia permetterà di non dover più inserire la SIM fisica che tutti siamo abituati a conoscere nello smartphone, ma si potrà cambiare operatore semplicemente scaricando un’app o modificando le impostazioni dello smartphone. Questo renderà il cambio dell'operatore così facile, così immediato da parte dell'utente, che si arriverà ad una situazione di concorrenza perfetta nella quale la corsa al ribasso delle tariffe potrebbe essere letale per gli operatori stessi. “È sotto l'effetto della paura che si compiono i gesti più inammissibili” scriveva il filosofo bulgaro Cvetan Todorov. In questo caso la tensione è tale da aver spinto i grandi operatori USA a tramare per bloccare la tecnologia eSIM. Almeno questo è quel che sostiene Apple che ha portato la questione innanzi al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Friday, May 4, 2018

C come...Intelligenza Collettiva

                                                                  di Salvatore Dimaggio

Sono fermamente convinto che la crescita dei singoli individui e dei gruppi, sia una delle più entusiasmanti ed importanti sfide che si possano affrontare. Tutto ciò che è vivo può, potenzialmente, crescere, ma lo fa anche nel concreto? Esprime pienamente il suo potenziale? Lo fa in modo rispettoso del suo contesto? Contribuisce alla crescita collettiva? Per avere le risposte alle mie domande è utile fare appello, tra l'altro, alla cosiddetta intelligenza collettiva. Ma di cosa si tratta? E' un concetto affascinante, noto anche come fattore “C”. L'intelligenza collettiva espressa da un gruppo, non equivale assolutamente alla somma delle intelligenze individuali dei singoli membri. Secondo gli psicologi del MIT, Carnegie Mellon, e Union College, i gruppi assumono un carattere proprio che è distinto dalle singole nature dei loro membri. Ma allora da cosa deriva la “C”?  E' proporzionale ai guadagni, ai bonus promessi? O forse è un riflesso del carisma del leader del gruppo? Nessuna di queste ed altre ipotesi avanzate per scoprire quale fosse l'ingrediente segreto capace di far lievitare la “C”, si è rivelata corretta. I ricercatori hanno scoperto che c'è un modo molto semplice per predire il valore di C anche senza misurarlo ed è quello di osservare le riunioni: i gruppi nei quali tutti parlano sostanzialmente per lo stesso tempo, hanno una C molto più elevata di quelli nei quali due o tre parlano quasi tutto il tempo. La discriminazione sulla base dell'importanza in azienda o magari solo dell'arroganza, si rivela perdente rispetto ad un approccio che non trascura nessuno. La parola magica è “sensibilità sociale”, empatia, capacità di comprendere i sentimenti dell'altro. Avreste mai detto che un gruppo di persone molto intelligenti, ma poco armonioso è meno brillante di un gruppo di persone normalissime che si rispettano a vicenda? C'è anche un'altra osservazione che emerge dagli studi di questi autori: più donne ci sono in un gruppo e più è probabile che l'intelligenza collettiva sia alta… una bella lezione di gender equality!



Wednesday, April 6, 2016

Come si colgono le opportunità offerte da Linkedin?

Ne parliamo con Mirko Saini, Linkedin Trainer e Blogger. ( Linkedincaffe.it il suo blog). Specializzato nella formazione all'utilizzo strategico di LinkedIn per professionisti, reti vendita e aziende.  

di Maria Grazia Cangelli

Come nasce questa sua carriera/professione, ci può raccontare brevemente la sua storia personale?
Parafrasando il racconto di De Amicis "Dagli Appennini alle Ande" potrei dire che il mio percorso professionale potrebbe avere come titolo "Dalla carta al digitale". Il tutto parte da un'esperienza come imprenditore nel settore del marketing diretto. Dopo alcuni anni in società mi sono accorto che volevo qualcosa di diverso. Non mi divertivo più e quindi ho deciso di vendere la mia quota. Da li sono stato per alcuni anni nel settore dei freepress immobiliari lavorando per diverse testate e in diverse province. Sono poi passato a curare il marketing per una società di poste private, ancora carta quindi. Anche se qui già vi erano stati i primi progetti per digitalizzare alcuni fasi del processo. Periodo durante il quale ho maturato l'idea che il digitale era ed è il presente e il futuro della comunicazione. Da li poi la decisione di mettermi in proprio per sviluppare progetti ed idee. Linkedin arriva direi quasi per caso o in modo del tutto naturale. Ho cominciato dapprima ad utilizzarlo per promuovere me stesso. Da subito mi ha affascinato per due aspetti che lo differenziavano dagli altri social. La sua ermeticità direi congenita e il suo fondarsi sulle relazioni interpersonali in ambito business. In questo Linkedin è unico. Via via poi scrivendo di Linkedin sul mio blog e sulla piattaforma stessa sono arrivate le richieste di consulenza.

LinkedIn nasce negli Stati Uniti nel 2003, oggi è presente in 200 paesi e raggiunge oltre 400 milioni di iscritti a che punto siamo in Italia, come iscritti, percezione del mezzo ecc..? Nel 2011 è stata aperta una sede italiana a Milano, ma è vero che siamo ancora molto indietro?
Per dare un paio di cifre posso dire che in Italia abbiamo superato gli 8 milioni di iscritti. Se non ricordo male siamo l'8° paese per numero di iscritti e il 5° per tasso di crescita. Non male direi. Quanto all'uso reale però devo dire che noi italiani siamo un pochino indietro rispetto a nazioni simili a noi (Francia e Inghilterra su tutte per esempio). Direi che in Italia stiamo vivendo quella fase che è chiamata Settembre Eterno che descrive appunto il momento in cui su una piattaforma arrivano molti utenti non perfettamente consci ed educati sull'uso e per questo poco tollerati dagli early adopter, i primi. Io credo sia una fase necessaria che in realtà va a testimoniare come da un paio di anni a questa parte sia stata scoperta e adottata da un pubblico sempre più folto. Qualche problemino c'è ma sono certo che oltre ad essere un bene è il preludio ad una sua effettiva esplosione e diffusione. 

Qual è l’approccio delle aziende/professionisti che lei avvicina quando va a fare formazione? Quali di queste reazioni trova più di frequente?
Curiosità, dubbi sul mezzo, “lo faccio perché devo”, bisogna esserci per trovare lavoro ecc…?
All'inizio io lavoravo maggiormente con il singolo professionista che accorgendosi delle potenzialità della piattaforma sentiva l'esigenza di un approfondimento professionale. Ora, sopratutto nell'ultimo anno il mio tempo è quasi esclusivamente assorbito nel portare a termine veri e propri progetti formativi all'interno di aziende che comprendono la necessità che per promuovere il proprio marchio e i propri servizi non basta più fare marketing dall'alto ma è necessario, sopratutto in un ambiente digitale come linkedin coinvolgere il proprio management e la propria rete vendita fornendo questi ultimi di tutta la formazione e gli strumenti necessari a coordinare e mettere a frutto la propria strategia comunicativa.

Lei è molto attivo su LinkedIn e non solo, spesso ci sono suoi post che rivelano preziosi consigli. Qual è il ritorno di questa sua attività tramite post?
Questo tipo di attività è tutto. Senza quel tipo di approccio e senza quel tipo di strategia comunicativa fondata sul creare contenuti utili al mio pubblico non avrei preso un solo cliente. Ed è lo stesso approccio che insegno e sprono a seguire. Quello è il miglior modo per crearsi una reputazione online che oggi è indispensabile, per esempio, per eliminare le cosi dette chiamate a freddo e per spostare a proprio favore l'esito di trattative. Teniamo presente che 8 volte su 10 la scelta di un fornitore avviene ancor prima che vi sia un qualunque contatto tra le parti. Ed è proprio grazie ai contenuti che si può influenzare favorevolmente e spingere un cliente a sceglierci ancor prima che lo si contatti.  

Il funzionamento di LinkedIn è strutturato secondo tre livelli diversi. Ogni livello è contraddistinto dalle competenze attuali di ogni utente, dalle esperienze lavorative, dall’evoluzione del loro cv e dal tipo di contatti che si hanno con gli altri utenti nel network e questa è la base per esserci senza pagare. Vale la pena investire per acquistare un account Premium? Se sì, per quale ruolo aziendale e per raggiungere quali obiettivi?
La mia risposta è si. Ma a patto che prima si impari ad utilizzare e soprattutto a vivere questo ambiente digitale. Prima è bene fare proprie le logiche e le dinamiche che governano questo social. Una volta apprese si percepirà meglio cosa un account premium sia in grado di dare. Vi sono poi sicuramente 2 figure professionali che per diversi motivi hanno maggiori vantaggi a passare a profili a pagamento: i recruiters ovviamente e i professionisti della vendita o comunque chiunque faccia di LinkedIn uno strumento di ricerca di potenziali clienti. 

Secondo la sua esperienza gli head hunter sono tutti convinti che LinkedIn sia davvero utile?
Credo che sia la categoria maggiormente convinta di LinkedIn. Io personalmente non conosco professionista di questo settore che non consideri Linkedin centrale per il proprio lavoro. Il problema sta dall'altra parte. Non tutti quelli che cercano lavoro hanno capito che devono essere presenti in Linkedin e farlo come si deve. Esserci non basta ovviamente. Linkedin non è una bacheca sulla quale appuntare il proprio cv per veder arrivare le offerte di lavoro o le opportunità di carriera. 

Ci può dare anche una panoramica delle aziende che lei segue? Riesce poi a convincerle dell’importanza e dell’utilità di LinkedIn?
Confesso che fare un identikit dell'azienda tipo con la quale maggiormente mi capita di lavorare non è semplice. Sicuramente in ambito B2B ma ho lavorato con compagnie assicurative, servizi telefonici per aziende, promotori finanziari e servizi ad alto valore aggiunto per aziende. Quanto alle leve che devo usare per convincere che Linkedin fa per loro fortunatamente, grazie al lavoro sui contenuti di cui parlavamo prima, non è un compito che devo affrontare. Io amo dire che spiegare ad un'azienda che LinkedIn (o in generale il web) fa per loro è un po' come dire ad un fumatore che deve smettere di fumare. Se non è lui il primo a crederci e a volerlo non c'è modo di convincerlo del contrario. 

Gli annunci di lavoro su LinkedIn spesso rivelano anche, quante persone hanno risposto a quel “job post”. Pertanto spesso si legge: “780 persone hanno risposto se vuoi vedere come risulta la tua candidatura rispetto a quella degli altri attiva Premium ecc..” Ci spiega questo meccanismo? E come fa il selezionatore a leggere tutti quei cv, esiste uno strumento anche per loro?
Bella domanda. Bisogna fare un distinguo per comprendere come LinkedIn viene utilizzato dai selezionatori. Il sistema delle candidature con invio di cv da parte dei candidati a seguito di annunci come quello a cui lei fa riferimento avviene per lo più per ruoli medio-bassi se non bassi. Per i ruoli più qualificati oramai tutti gli HR o gli HH preferiscono lavorare sulla ricerca del candidato che per il 60% è quindi passivo. Per rispondere quindi alla domanda mi risulta difficile credere che un selezionatore possa leggere qualche centinaio di candidature. Leggerà le prime e si fermerà quando penserà di aver trovato la persona giusta. Diviene quindi importante essere in cima alla lista. So che può sembrare paradossale che uno debba acquistare visibilità per trovare lavoro ma ahimè di fatto le cose stanno in questi termini. A proposito, i selezionatori si basano molto per le loro scelte su cosa trovano sul profilo linkedin del candidato. Buona cosa è quindi farsi trovare pronti anche sul quel campo da gioco. 

LinkedIn  ha chiuso il quarto trimestre 2015 con una perdita netta di 8,4 milioni di dollari ed in borsa in pochi giorni il valore delle azioni si è dimezzato. Cosa pensa di questa fase?
Io credo che le dinamiche borsistiche spesso siano di difficile comprensione e qualche volta sganciate dal reale andamento della società. Se si leggono i numeri di Linkedin non se ne trova uno negativo. Raccolta, crescita etc. Qui il titolo ha pagato un'aspettativa maggiore rispetto ai risultati raggiunti. E' un po' come se alla consegna delle pagelle di fine anno Linkedin pur avendo preso un bel 7 di media non sia stato però in grado di soddisfare le aspettative di 8 richieste dal mercato. Ecco spiegato il tonfo. 

LinkedIn è interessante anche sotto il profilo dei big data. Per esempio, alcune società di credito valutano il profilo Linkedin del potenziale cliente allo scopo di valutare quanto velocemente questo individuo potrebbe ritrovare lavoro nel caso in cui lo dovesse perdere. Quanta consapevolezza c’è , a suo avviso, di fenomeni di questo genere?
E' un modo molto interessante di utilizzare questo social ma in Italia questo tipo di utilizzo è fantascienza. Non c'è ancora abbastanza consapevolezza ne da parte delle persone che con la completezza dei loro profilo dovrebbero costituire questi big data ne da parte delle società di credito che in questa fase non avrebbero materia sulla quale fare le loro analisi. Pur essendo, come dicevo prima, l'8° paese al mondo per iscritti e il 5° per tasso di crescita, non siamo certo tra le nazioni che lo utilizzano al meglio. Di strada dobbiamo ancora farne.   

Thursday, January 7, 2016

La Verdi: Luigi Corbani racconta la sua startup della cultura

Management, organizzazione, sviluppo e innovazione.
Vi raccontiamo la storia dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi  e dell’Auditorium. Ne parliamo con Luigi Corbani, fondatore, direttore generale e profondo conoscitore del panorama musicale italiano e internazionale. Un eccellente ed unico esempio di imprenditorialità culturale milanese.


di Maria Grazia Cangelli

Breve ritratto
Dopo l’università (Scienze Politiche all’Università Statale di Milano) ha studiato il cinese presso l’Università di Pechino. Una passione per la politica e amico personale dell’ex Presidente Napolitano, dal 1971 al 1975 è Consigliere comunale a Bresso, poi capogruppo consiliare a Cinisello Balsamo dal 1975 al 1980. Dal 1985 al 1990 è stato consigliere comunale di Milano, di cui è stato Vice Sindaco e Assessore alla Cultura. Nel 1990 è entrato nel Consiglio Regionale della Lombardia: ha fatto parte dell’Ufficio di Presidenza della Regione, di cui era segretario. È stato poi Assessore alla Cultura della Lombardia. Oggi è il direttore generale dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, conosciuta come la Verdi.
Art by Michela Terzi

MGC- Dott. Corbani, l’Orchestra Verdi e l’Auditorium: ci racconta come e quando comincia questa “start up” della cultura musicale a Milano? 

LC- Agli inizi degli anni ‘90 si chiudevano le orchestre. Chiudeva l’orchestra della Rai, il Coro della Rai e dell’Angelicum. In quel periodo il problema dell’occupazione e delle assunzioni negli enti lirici era molto grave e c’era il blocco della spesa pubblica. La Scala faceva pochi concerti e il Conservatorio organizzava dei pomeriggi musicali con una piccola orchestra. A Milano non c’era un’orchestra sinfonica con una dimensione europea e con un respiro internazionale. In più il numero dei giovani che studiavano musica cresceva sempre di più.

MGC – Quindi tanti studenti senza orchestre!….

LC- Deve sapere che questo è un paese fantastico… Abbiamo 55.000 mila studenti distribuiti nei 98 conservatori italiani e abbiamo meno orchestre della Svizzera, meno orchestre della Finlandia, meno orchestre di tutti gli altri paesi Europei. L’idea iniziale era assolutamente quella di offrire nuovi posti di lavoro ai giovani, creando una nuova orchestra sinfonica.
Un giorno, insieme al mio amico Vladimir Delman e insieme anche a Marcello Abbado, (fratello di Claudio e direttore del Conservatorio di Milano) abbiamo fondato laVerdi. Abbiamo coinvolto una serie di amici e poi cominciato le selezioni sentendo 850 ragazzi. Il 13 novembre del 1993 c’è stato il primo concerto al Conservatorio di Milano. Il Conservatorio era molto caro, per fare le prove e i concerti ci faceva dei prezzi esorbitanti, 800 milioni di lire all’anno. Allora, per risparmiare e cercare di pagare gli stipendi, avevamo trovato un’altra sede per fare le prove, tenendo il Conservatorio solo per i concerti. 
Per alcuni mesi abbiamo fatto le prove in Corso Italia, nell’allora caserma del Reparto Comando del Terzo Corpo d’Armata, ora Scuola militare “Teuliè”. In seguito siamo stati ospitati, sempre per le prove, dal mio amico Fabrizio Ferri nei suoi studi fotografici in via Forcella.

Art by Michela Terzi
MGC- Nel frattempo nessun teatro a Milano si faceva avanti?

LC- Il Comune di Milano, per due anni, ci aveva messo a disposizione il Teatro Lirico che era chiuso e doveva essere ristrutturato. Avevo chiesto di avere il Lirico in gestione, avevo anche trovato gli sponsor per ristrutturarlo e presentato un progetto, che costava circa sette miliardi e mezzo di lire.

MG- Una bella opportunità per il Comune di Milano, tutto pronto e servito su un bel piatto d’argento, anzi diciamo d’oro!

LC- Assolutamente sì, peccato che il Comune non accettò questa proposta (allora il sindaco era Albertini) e mi disse che avrebbe organizzato una gara d’appalto (allora l’assessore al demanio, era Verro che poi ha fatto il parlamentare e il consigliere di amministrazione della Rai, ecc…). 
Io suggerii che l’idea era sbagliata e che avrebbe portato molti ricorsi al Tar e rallentamenti, ma non ottenni nessuna attenzione in merito. Il teatro Lirico è rimasto chiuso dal 1999, anno in cui noi siamo usciti, fino ad oggi, per un totale di oltre vent’anni. La gara era stata assegnata a Longoni dello Smeraldo, che aveva nominato Dell’Utri direttore artistico, ma alla fine il teatro è stato abbandonato. Dopo dodici anni di ricorsi alla magistratura amministrativa, il Comune oggi ha preso finalmente in mano la situazione del Teatro Lirico e nei prossimi mesi cominceranno i lavori di ristrutturazione.

MGC- Oggi il Lirico poteva essere la sede dell’Orchestra Verdi! La solita stolta burocrazia e i soliti meccanismi perversi della politica, che però non le hanno impedito di andare avanti con la sua idea. Quindi arriva sulla sua strada l’Auditorium?

LC- Avevo previsto tutto questo scenario di attese e ricorsi… Dopo vari giri per trovare un altro spazio idoneo, incontrai finalmente una persona (Agostino Liuni) disponibile a darci un teatro (in corso San Gottardo) che era però da ristrutturare completamente. Lui finanziò la ristrutturazione, ponendoci come condizione l’acquisto dei muri del teatro. Gli avevamo sottoposto un bel progetto con la collaborazione di vari architetti. Per dieci anni gli abbiamo pagato un affitto e nel 2008, grazie all’operazione fatta con la Banca Intesa San Paolo, ci siamo comprati i muri. 
Oggi dunque l’Auditorium è di nostra proprietà e ci tengo a sottolineare che è l’unico esempio italiano, che non ha avuto soldi pubblici, ma solo soldi di privati cittadini.

MGC- A mio avviso quest’ultimo passaggio andrebbe gridato, non crede?

Art by Michela Terzi
LC- Sì certo, ma a chi? Io sono qui grazie alla legge Basaglia, quella che ha liberato i manicomi, ricorda?… Quindi io sono libero capisce? Perché creare un’orchestra e promuovere nuovi posti di lavoro in Italia, soprattutto per i giovani, è una cosa da matti! In questo paese si parla di innovazione, di giovani, di cultura di nuovi posti di lavoro e poi non si fa nulla… Tutti vanno in televisione a parlare e a proporre cose che poi non si realizzano mai.

MGC- Dott. Corbani, complimenti! Lei è un bravissimo pazzo in libertà in un paese sordo e cieco! Ma andiamo avanti… Quante sono le orchestre in Italia? Come vi siete organizzati e se ha anche qualche numero da fornirci?

LC- Di vere orchestre sinfoniche ce ne sono quattro in Italia: laVerdi, l’orchestra Rai di Torino, Santa Cecilia a Roma e l’Orchestra Sinfonica Siciliana: questa è la fotografia della realtà italiana nel panorama musicale. Di fatto ogni anno si diplomano 5500 giovani, che poi sono costretti a fare i camerieri o altre attività estive in giro per l’Italia e magari pagati anche in “nero”. Non si sono creati nuovi posti di lavoro.
Noi abbiamo creato ogni anno 150 posti di lavoro a tempo indeterminato cui si aggiungono 700 posizioni a tempo determinato. LaVerdi ha prodotto un reddito per 60 milioni di euro, che vuol dire tasse, occupazione e consumi. Noi siamo nati come privati, grazie al costante impegno dei cittadini. L’impostazione che ci siamo dati è che la voce principale dei ricavi deve essere derivante dall’attività propria, quindi lo sforzo maggiore deve essere dell’ente che deve avere ricavi attraverso abbonamenti, biglietti, sponsor, quote associative e altro. L’intervento pubblico, che esiste in ogni parte del mondo e che può essere diretto, come succede in Italia, Germania, Francia, o indiretto, come succede nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti, deve essere considerato integrativo e aggiuntivo. Lo Stato dovrebbe dare la possibilità a chi dona contributi diretti di avere una diminuzione sulle tasse, così lo sforzo dei privati aumenterebbe. Per ora lo Stato garantisce agevolazioni solo alle strutture pubbliche, nulla agli enti privati. Nonostante queste criticità, sono convinto che la strada del “fund raising” sia da percorrere; per questo, ad esempio, abbiamo lanciato il “Club delle Imprese”, in altre parole un club in cui le imprese partecipano in forma non di sponsor ma di partnership all’attività culturale della Verdi. L’accesso non è riservato solo a colossi ma anche ad aziende di medie dimensioni che hanno esigenze di visibilità e immagine. 
L’intento è di contribuire e provocare un dialogo importante tra economia e cultura un po’ diverso dai soliti schemi. Un altro passo che abbiamo fatto in questa direzione è di inserire la nostra istituzione musicale nel 5x1000: abbiamo avuto negli anni non solo un notevole riscontro, ma abbiamo anche rinforzato il nostro legame con il pubblico che ci sostiene. 
Noi siamo l’attività musicale più produttiva d’Europa, il teatro ha più di 200 mila spettatori l’anno. Siamo primi per l’acustica a livello europeo, abbiamo registrato già 41 dischi, per numerose case discografiche. Nel 2016 ne abbiamo in programma altri 6. Facciamo circa 500 iniziative all’anno di cui 250 sono concerti e  le altre 250 sono le iniziative educative che facciamo per i bambini e per i ragazzi, nell’ambito di un articolato progetto educational. Organizziamo corsi di musica, corsi di canto per gli stonati, andiamo nelle scuole a promuovere la musica in tutte le sue forme.


MGC- Quindi nessun sostegno dallo Stato? Attualmente com’è la situazione?

LC- Dopo aver passato ben tredici ministri alla Cultura, poco attenti alla situazione drammatica del paese nel settore musicale, si è instaurato recentemente un buon rapporto con il ministro Franceschini che ha riconosciuto la Verdi come un’orchestra. Dopo venti anni qualcuno si è accorto di noi …
Prima c’era di mezzo un direttore dello spettacolo che faceva il bello e il cattivo tempo… ora per fortuna è andato via. Con Franceschini stiamo portando avanti dei discorsi interessanti e aspettiamo di vedere gli esiti o eventuali proposte.

MGC- Parliamo dei sostenitori/soci come li chiamate? Come funziona?

LC- I soci sono circa 300 e sono persone fisiche e aziende che in totale in questi anni hanno dato come contributi per l’attività de laVerdi pari a 15 milioni di euro. Ci si può associare partendo da 550 euro, fino ad arrivare a 13 mila euro. Ovviamente, per i grandi sponsor, ci sono una serie di benefit importanti che risultano vincenti anche per la loro comunicazione aziendale esterna e interna.

MGC- Dopo venti anni di lotte qual è un desiderio che vorrebbe vedere realizzato?

LC- Vorrei portare il modello dell’orchestra Verdi in giro per l’Italia, con lo scopo di offrire nuovi posti di lavoro ai tanti ragazzi che studiano nei conservatori di tutto il paese. Vorrei portare le attività musicali in tante regioni, dove non ci sono orchestre sinfoniche, (soprattutto al sud) e in parte lo abbiamo già fatto con lunghe tournée in giro per l’Italia. Gli investimenti culturali sono il futuro, ma nei servizi culturali bisogna crederci. L’introduzione della tecnologia porta comunque una diminuzione dell’occupazione. Di conseguenza dove si può sviluppare l’occupazione? 
Nei settori dei servizi e in primis nel divulgare e portare avanti la cultura.

MGC- Chiederà aiuto al ministro anche per questo?

LC- Prima devo pensare alla Verdi e poi con Franceschini parleremo anche di questo. Noi abbiamo portato laVerdi a Campobasso, Sulmona, Teramo, Messina e a Lamezia Terme. Abbiamo fatto 16 concerti in 20 giorni in giro per l’Italia e abbiamo avuto un enorme successo, questi sono dei segnali molto importanti. Abbiamo fatto un’indagine su quello che produce laVerdi come risultato aggregato: 23 milioni di euro all’anno, considerando tutto l’indotto, diretto e indiretto, i trasporti, la ristorazione, ecc.
Consideriamo anche la riqualificazione di un quartiere dove prima c’era un teatro abbandonato, pertanto gli immobili della zona ora si sono rivalutati. L’attività culturale non è solo un valore in sé, ma va ricordato che produce e crea economia: dove c’è ricchezza c’è cultura. Non si può recuperare un bene culturale senza metterci di fianco un’attività conseguente. L’Expo ci ha insegnato che se si propone qualcosa di giusto le persone rispondono.

MGC- Qualche numero degli spettacoli proposti nel 2015?
LC- Dalle innumerevoli prestazioni che l’Orchestra Verdi offre al pubblico (citiamo solo alcuni numeri nel 2015: una Stagione sinfonica con 64 programmazioni replicate dalle due alle tre volte fino a dicembre 2015, l’Orchestra barocca con 11 concerti, la rassegna “Made in Italy” con 12, la rassegna “Around the World” per Expo 2015 con 14, la rassegna per i più piccoli e le famiglie “Crescendo in musica” con 15, i “Discovery” con 5 e ben 19 concerti straordinari) ci si può rendere conto di quanta passione e dedizione, affiancata al lavoro di preparazione, ci debba essere per poter rispettare la programmazione.
Del resto, sul podio de laVerdi salgono non pochi direttori di prestigio: da Riccardo Chailly, oggi è il direttore onorario, all’attuale  “direttrice” stabile Zhang Xian.
Produciamo anche spettacoli di generi diversi: nel 2016, ad esempio, eseguiremo dal vivo in Auditorium le colonne sonore di alcuni film di successo, film con relativa proiezione in contemporanea sul grande schermo. Primo appuntamento a gennaio con Aleksandr Nevskij, per proseguire con Il Signore degli Anelli Casablanca, Il Padrino, Star Trek e tante altre celebri pellicole.

Monday, December 21, 2015

L'illusione del multitasking

Intervista a Maria Latella: 
Giornalista, già firma politica del Corriere della Sera, poi direttrice del settimanale A, da anni conduce la trasmissione L'Intervista su Sky Tg24, oggi è anche editorialista del Messaggero e ideatrice e conduttrice su radio 24 di "Nessuna è perfetta".
di Maria Grazia Cangelli
Art by Michela Terzi

A ogni fine d'anno, come tutti, Maria Latella si lancia in alcuni buoni propositi per l'anno che verrà. E, come tutti, dodici mesi dopo, verifica che non sempre all'entusiasmo iniziale è corrisposto il mantenimento dei propositi.
Che cosa si è persa per strada nel 2015?
"Confesso: la forma fisica. Nel 2015 ho completamente mollato quel poco di esercizio che prima riuscivo a fare. Ma nel 2016 ho intenzione di rifarmi".

L'abolizione di ginnastica e Pilates è inevitabile per una che, come l'anchorwoman di Skytg24, è sempre in movimento. Maria Latella conduce ogni domenica "L'Intervista" su Skytg24 e sempre di domenica  è ideatrice e conduttrice su radio 24 di "Nessuna è perfetta", dedicato ai temi delle donne e del lavoro. Durante la settimana, poi, fa la spola tra Roma e Milano e scrive per il Messaggero su temi di società, costume con frequenti incursioni nella diplomazia (ultima intervista all'ambasciatrice tedesca, proprio alla vigilia dello scontro Merkel-Renzi) e in terra francese, dove le sue interviste a politici come Marine Le Pen, Rachida Dati o Michel Barnier compaiono con puntualità.
In Francia, infatti, a Parigi, Latella vive parte della settimana. Sposata col pubblicitario inglese Alasdhair Macgregor-Hastie, lo raggiunge nella capitale francese dopo la diretta Sky. Per questo conosce tutti i prezzi e le migliori combinazioni Roma-Parigi e Roma-Berlino (dove vive e lavora la figlia Alice): "I voli lowcost tengono in piedi le famiglie" è uno dei mantra latelleschi.
Oltre ai suoi impegni professionali e alla vita privata da pendolare europea, la giornalista di Sky (già inviata del Corriere della Sera e direttore del settimanale "A"), coltiva passioni  non strettamente legate al giornalismo. Convinta sostenitrice della parità di genere, è da anni impegnata al fianco di Valore D e di tutte le iniziative tese a promuovere il talento delle donne. Segue con particolare dedizione i temi dell'istruzione (ha fatto parte del board Samsung education) e modera spesso i dibattiti sulla formazione degli studenti medi in collaborazione con Confindustria.
Il suo passato di collaboratrice del network americano Nbc le consente di essere sempre in contatto con gli Stati Uniti: è nel board esecutivo del Centro Studi Americani, con il quale un anno fa ha realizzato un grande evento sui media con ospiti come il ceo di Bloomerg media e i direttori di Wall Street Journal e Cbs.

Negli anni 80, giovane giornalista, fu invitata come U.S visitor dall'amministrazione americana e per questo è diventata anche membro dell'associazione Amerigo cui fanno capo gli US visitors italiani, i professionisti che l'amministrazione seleziona per periodi di studio negli USA.
E negli Stati Uniti Maria Latella tornerà, nel 2016, questa volta come docente. Terrà un ciclo di lezioni sulla politica e le campagne elettorali nella prestigiosa università di Chicago, diretta da David Axelrod, forse il comunicatore più famoso del momento e certo il più vicino a Barack Obama.

E' la prima volta da docente?
"Vado spesso a parlare nelle università italiane, ma per la prima volta terrò un ciclo di lezioni in uno stesso ateneo e negli Stati Uniti. Sono felice dell'invito dell'università di Chicago e particolarmente contenta di trovarmi lì in una fase di grande interesse per la campagna elettorale presidenziale. Dal 1988, anno del duello tra Bush padre e il democratico Dukakis, fino alla convention di Denver che incoronò Barack Obama, ho sempre seguito sul posto le campagne elettorali americane".

Il duello stavolta sembra essere tra Hillary Clinton e Donald Trump. Li ha mai incontrati?

"Ho incontrato Hillary Clinton nel '94, quando venne in Italia per il G20. Restai al suo fianco una giornata, confusa tra le first ladies che erano state spedite in pulmino a fare il tour della costiera amalfitana. Credo sia un po' cambiata, da allora: per esperienze private e per i ruoli pubblici, senatrice e segretario di Stato, che si sono aggiunti a quello di first lady. Vedremo se riuscirà ad essere la prima donna presidente degli Stati Uniti".

A parte l'esperienza da docente all'università di Chicago, quali altri progetti per il 2016?

"Tornare a fare ginnastica".

Un po' minimalista, no?
"Sarà un anno impegnativo, e non solo perchè devo tornare in palestra. Sul fronte de "L'Intervista", il programma della domenica che da anni realizzo per Skytg24, il 2016 sarà l'anno della campagna elettorale a Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli. Saranno mesi intensi".

Ormai Skytg24 è casa sua.
"Lavoro con il network dal 2005 ed è stato un crescendo di stimoli. E' un'esperienza che di anno in anno si fa più interessante".

Giornalista multimediale sul serio: tv, Il Messaggero, e ora anche la radio. Dopo anni di collaborazione con Rtl, quest'anno ha esordito su radio 24.

"Più che un esordio, si è trattato di un ritorno. Dieci anni fa, su radio 24, conducevo un programma il sabato mattina. Stavolta, l'ambizione e i temi sono diversi. Cerchiamo di sollecitare ospiti noti al grande pubblico ed esperti dei vari settori, amministratori delegati, imprenditori, coach su problemi concreti che le donne incontrano lavorando: dai rapporti con i colleghi al modo giusto di chiedere un aumento di stipendio. E poi a "Nessuna è perfetta" sogniamo di riuscire a diffondere una certezza".

Quale?
"Che il multitasking è la più grande fregatura inventata contro le donne, costrette a credere che si possono fare bene cinque o sei cose insieme, avendo  contemporaneamente una vita".

Ce l'ha col multitasking, ma ha tre lavori, vive in tre città e a dicembre è diventata pure membro della commissione filatelica del ministero dello Sviluppo economico, dove siedono campioni del multitasking come Gianni Letta e Luisa Todini. Lei predica bene e razzola male.

"Ho intenzione di razzolare meglio e di limitate la mia dipendenza dal multitasking. Diciamo che cercherò la modica quantità mantenendo se possibile la  qualità. Comincio col ridurre il numero delle città. Nel 2016 il progetto è stare di più a Roma e a Parigi. Anche se mi dispiace, ridurrò la presenza a Milano. Ci starò meno ma proprio per questo la vivrò più "intensamente".