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Saturday, October 12, 2013

Create an echo in people visiting an exhibition


Fabio Anselmi, Commisioner and Curator at Venice Biennale


Nella sua carriera ha collaborato con istituzioni culturali prestigiose: cosa le hanno lasciato quelle esperienze? 


Da Curatore negli anni ho ricevuto un enorme spinta a mettere in discussione preconcetti e aspettative e ad analizzare il contesto in cui mi trovavo sotto un punto di vista nuovo e più  obiettivo. Ho ricevuto molto da colleghi, creativi e collaboratori in termini di esperienza sul campo e mi sono arricchito di una visione più  globale del sistema arte in Italia e all’estero.
Le esperienze con prestigiose istituzioni culturali tendono a volte a ridimensionare molto il punto di vista e allo stesso tempo allargano lo spettro delle influenze e delle prospettive future con un occhio più  attento. Dal punto di vista invece del background dal quale provengo, appunto il mercato dell’arte, ho constatato un più’ evidente e voluto scollamento tra pubblico e artisti.
Questo divario percepito da chi per anni ha cercato di colmarlo con tutte le energie, fa capire quanto sia desiderabile per alcuni operatori che fanno sistema a livello internazionale far si che l’arte contemporanea non sia un mezzo di comunicazione evoluto. Per altre forme d’arte si è investito molto affinché diventassero (musica, letteratura e design) una forma non elitaria di comunicazione. Quello dell’arte contemporanea invece e’ un mercato del lusso basato su un oleato meccanismo economico tendente a costruire un involucro molto più  interessante del contenuto e quindi molti affanni vanno in una direzione per me opposta a quella verso cui l’uomo cerca di riavvicinarsi. L’arte è o dovrebbe essere un sistema aperto di comunicazione fatto di interscambio di emozioni. La tendenza di molta arte oggi è invece fin troppo cerebrale, fredda nei media utilizzata e avulsa quindi da qualsiasi desiderio di comunicatività diventando così troppo autoreferenziale.

In cosa consiste il suo ruolo nella Biennale? 

Nelle ultime due edizioni della Biennale ho avuto l’onore di ricoprire diversi ruoli. Quello di Commissario è un ruolo prettamente politico/diplomatico dove la funzione si basa sulla gestione attenta delle dinamiche diplomatiche di relazione con i governi stranieri e con le istituzioni pubbliche e private per arrivare a far si che un padiglione Nazionale si possa presentare con tutti i parametri legali e burocratici corretti e che le relazioni con le ambasciate,  i vari ministeri via via coinvolti e i ministri e segretari siano le migliori e più stabili possibili.
Nella funzione di curatore, che ho ricoperto sia con il Padiglione della Siria nel 2011 che in quello del Bangladesh di quest’anno,  la mia principale occupazione è di “curare” tutti gli aspetti artistico-espositivi del Padiglione Nazionale o Evento Collaterale che si vuole organizzare. In poche parole la figura del Curatore all’interno della Biennale di Venezia non si discosta molto da quella di qualsiasi altra mostra istituzionale se non per l’attenzione che tale funzione ha in Biennale, considerata ad oggi a torto o a ragione, l’evento di arte contemporanea più importante nel mondo.
Possiamo dire che l’esito di una partecipazione Nazionale dipende in massima parte dal lavoro del curatore sotto diversi aspetti: si parte dalla scelta del tema su cui tutto il Padiglione verterà e questo tema deve essere collegato con quello scelto dal Curatore principale della Biennale (quest’anno è stato Massimiliano Gioni, che in qualità di curatore della biennale si occupa essenzialmente di scegliere il tema di tutta la Biennale e di curare il più  importante padiglione che è quello internazionale (ospitato nell’ex padiglione Italia ai Giardini) nonché di vagliare e scegliere gli eventi collaterali ufficiali).
Successivamente il curatore ha l’importante e fondamentale compito di fare una attenta selezione degli artisti da invitare. Questi ultimi possono provenire esclusivamente dalla nazione che il padiglione rappresenta oppure essere artisti di particolare rilievo che sposino nella loro ricerca tematiche vicine a quelle degli altri artisti della nazione. Il caso del padiglione della Germania di quest’anno ne è un esempio molto calzante. Il curatore Susanne Gaensheimer ha invitato artisti provenienti esclusivamente da altre nazioni (Ai Weiwei, Romuald Karmakar, Santu Mofokeng, Dayanita Singh).
Il compito del curatore poi si sviluppa tra l’aspetto manageriale di gestione delle relazioni con Ambasciate, Artisti, Commissari ecc….,fino all’aspetto di studio degli artisti e delle loro opere che esporranno in Biennale per poi redigere tutti i testi e la preparazione del catalogo ufficiale del Padiglione Nazionale.
Si arriva poi a Venezia e da li comincia tutta la fase allestitiva e di comunicazione dell’evento che culmina con l’inaugurazione del padiglione durante la concitata settimana di Giugno dove i quasi 100 padiglioni nazionali, i 50 eventi collaterali e più  di 50 mostre non ufficiali si contendono i quasi due milioni di visitatori tra stampa internazionale, artisti, curatori, galleristi, collezionisti e semplici appassionati che popolano la settimana più intensa di tutta la Biennale.

Quali sono i principi e le idee che la guidano in questo compito?

Il mio duplice ruolo di Curatore e Commissario si basa su un principio fondamentale. La qualità prima di tutto. La costruzione di un evento come la Biennale di Venezia non puo’ che basarsi sul più  alto livello di qualità  possible. Per qualità, trasversalmente, intendo tutto’ cio’ che fa di un evento, un evento riconoscibile nel tempo, che lascia un segno indelebile nella memoria di chi lo ha vissuto, gli artisti, gli ambasciatori, i ministri, i visitatori e tutti i collaboratori che a vario titolo ne hanno fatto parte. Oggi, la volontà  più alta di qualsiasi evento è quella di distinguersi e di suscitare ammirazione, stupore a volte anche solo per far parlar di se’ magari sfruttando espedienti  piu’ figli del cinema holliwoodiano che proprio dell’arte contemporanea. Il mio punto di vista differisce molto da questa new wave dello scoop a tutti i costi. L’idea che mi spinse ad accettare questo ruolo era ed e’ quella di lasciare un eco, una vibrazione nel cuore e nella mente di chi ha vissuto piu’ o meno da vicino la nascita di un Padiglione Nazione con la speranza mai sopita che anche il visitatore distratto da tante immagini e provocazioni, possa riflettere su cio’ che ha visto e quale eco rimane nel tempo nel suo cuore.

Quali sono le tendenze più forti che percepisce oggi nel mercato dell'arte? 

Parlare oggi di mercato dell’arte è come parlare della Costa Concordia. Siamo al naufragio di tutti i paradigmi che hanno costituito l’ossatura degli ultimi 40 anni.
La crisi che stiamo conoscendo tutti, il mercato dell’arte l’ha toccata già  nel 2010 e oggi è vicina al collasso.
E’ difficile per chiunque vedere la luce fuori dal tunnel e questo non riguarda solo l’Italia ma tutto il mondo e per di più  non riguarda solo la fascia medio/bassa forse più  intaccata nelle sue risorse. Ci troviamo di fronte ad un cambio di passo epocale per il mercato dell’arte e per tutto l’indotto che ne deriva.
La tendenza più  forte oggi del mercato va in direzione di un progressivo e inesorabile assottigliamento sia della domanda che dell’offerta  con un conseguente ridimensionamento economico tanto in termini di quotazioni che in termini di volumi. La qualità si farà sempre piu’ rara e cara mentre a livello di arte contemporanea avremo una sorta di spartiacque tra l’offerta sempre alta di artisti emergenti e un numero sempre piu’ esiguo di artisti affermati e la distanza fra questi due si farà forse troppo grande per essere colmata da investimenti e peripezie di galleristi sempre meno presenti e da istituzioni ormai ridotte in polvere. La strada sarà sicuramente piu’ in salita.

Alle volte si sente dire che l'Italia è un po' periferica rispetto ai grandi network globali dell'arte: quanto c'è di vero? 

L’italia ha un pregio che è anche il suo peggior difetto nei confronti dei network globali dell’arte. Sappiamo da fonti ufficiali che il patrimonio artistico (storico) mondiale si trova per il 70% in Italia. Davanti ad una percentuale così impressionante vista l’esiguità geografica del nostro paese,  verrebbe naturale riflettere che un tale carico di responsabilità e di risorse necessarie per far fronte alla custodia, valorizzazione e mantenimento di una siffatta mole di “storia dell’arte” non lascia spiragli alla valorizzazione e promozione dell’arte italiana contemporanea. Questo è un problema nazionale che vale da almeno 70 anni e forse più . L’unico movimento significativo che l’italia ha conosciuto è stato il Futurismo e da li in poi non ci sono piu’ state politiche nazionali mirate ad un lancio internazionale di significativi movimenti culturali. Fa eccezione l’Arte Povera ma sappiamo essere solo grazie a vezzi privati più che a pubbliche virtù’.
La Biennale in questo desolato scenario brilla di luce propria e resta ancora la stella più  vista e brillante di tutto il firmamento dell’arte mondiale. Nostro sforzo da curatori e commissari di tutto il mondo cercare di mantenere La Biennale di Venezia a Venezia e di estirpare sul nascere qualsiasi tendenza esterofila possa nascere.  

La sua prestigiosa carriera l'ha portata ad avere relazioni con realtà artistiche di svariati paesi: quali sono le peculiarità che riscontra nell'operare in Italia?

L’italia anche per i motivi sopracitati ha un’inerzia organizzativa e burocratica imbarazzante rispetto alle dinamiche che si riscontrano in altri paesi occidentali. C’è pero’ da dire che quando si fanno i conti con realtà a sud del mondo le cose cambiano notevolmente in peggio e rimpiango eufemisticamente l’Italia per rapidità di decisioni e per lungimiranza organizzativa. Certo è sempre facile vedere l’erba del vicino piu’ verde ma posso serenamente dire che quando ci confrontiamo con culture meno orientate al profitto e con logiche non prettamente occidentali il mio lavoro si complica in modo esponenziale.
Inoltre ho potuto constatare che il nostro “gusto del bello”, che permea tutti gli aspetti del lavoro di un curatore, dalla veste grafica di un catalogo o di un semplice invito, all’allestimento di una mostra, alla scelta degli artisti ecc…..è sicuramente una dote che ho scoperto in pochi possiedono fuori dall’Italia.  Ho toccato con mano che la nostra abitudine di essere circondati da bellezze che il mondo ci invidia si riflette incredibilmente negli equilibri visivi delle mostre che i curatori italiani sanno allestire soprattutto all’estero. Mi accorgo con moderato compiacimento che sappiamo ancora insegnare qualcosa al mondo..
Dal punto di vista artistico invece possiamo dire che le dinamiche della comunicazione visiva o performativa sono pressoché identiche in tutto il mondo. In alcuni stati rimane forte ancora la componente artigianale e fisica del “fare arte” mentre in realtà culturali più occidentali vi e’ un proliferare di new media che stanno prendendo sempre più il posto delle tecniche tradizionali.
Il divario e’ comunque molto sottile perché  in un mondo globalizzato dove internet è diffuso anche nelle baraccopoli di Nairobi, la dinamica artistica pensiero-realizzazione avviene sempre di piu’ con gli stessi mezzi attraverso i quali apprendiamo le informazioni. La contemporaneità dell’arte stà oggi piu’ nella velocità frapposta tra pensiero e azione che nel tipo di messaggio che questa genera- Il mezzo artistico sarà sempre piu’ legato dal paradigma +pensiero/-azione in aperta antitesi a cio’ che accadeva per l’arte moderna. Per l’arte, che e’ deve rimanere una comunicazione emozionale auguro un ritorno al futuro denso di emozioni create nel tempo..

Tuesday, October 1, 2013

Cinema as a multicultural hub

Laura Aimone
Guest Manager at La Biennale di Venezia, International Tampere Film Festival, International Women's Film Festival Torino


Career path

When I graduated in Foreign Languages and Literatures in 2002 I knew exactly which elements my dream job should have: international context, the possibility to travel and to be in touch with cultures others than mine, a very strong connection with culture and its development, interesting and stimulating people around, organizational elements. I was just not sure this job existed! After some rambling around between international holiday resorts in Egypt and the Dominican Republic and an American college where I taught Italian, the teacher I had graduated with asked me if I was willing to give a hand to the Director of the Women’s Film Festival in Torino, who was looking for someone who could speak English. I accepted lightheartedly, not knowing that this would have been the first real step of my working path.
The route, I guess like any other, has not been straightforward all the way, but having realized that that was exactly what I wanted to do helped a great deal. After a “glacial” collaboration at the Tampere Film Festival during a Finnish winter, I landed at the Biennale of Venice. Being part of the Events and Protocol Office for 3 years allowed me to explore many different cultural contexts besides cinema, such as visual arts, architecture, music, dance and theatre. However, cinema has always been my main interest, so I decided to concentrate mainly on this aspect and work as freelancer for Film Festivals around the globe. I have now been managing the Film Delegation Office of the Biennale of Venice for the past 8 editions of the Film Festival; besides, I have collaborated with the Berlinale in Germany, the Doha Film Festival in Qatar, the Edinburgh Film Festival in Scotland and the Trieste Film Festival in Italy.
My main role within festivals is taking care of guests in all its declinations, which means, for example, from the red carpet protocol and the logistics for the talents and their entourage during their stay in Venice, to hotels, flights and daily schedules of the guests in Edinburgh, to managing the Registration Centre and welcome gifts for the guests in Doha. For sure, my job is never boring and no matter whether I have spent my time running around between red carpets and the historic Palazzo del Cinema on the Lido of Venice, the castle of Edinburgh for a guided tour with guests or the buzzing souq of Doha where the Registration Centre is located, I always get to the end of the day with a great feeling of having contributed, even if indirectly, to enhancing culture through the films my guests are presenting.
Lately I have also been more and more interested in contributing actively to the content of the events themselves. I created and presented a panel about cinema and Slow Food at the Madeira Film Festival in Portugal and organized the art exhibition The Tongue of the Invisible with the works of Scottish-Iranian artist Jila Peacock, whom I had met while in Edinburgh, at the Scuola Internazionale di Grafica of Venice. I am currently working on curating a section of an international film festival, but it is still too early to talk about it!

Cinema as a multicultural hub 
I have always compared flipping through the pages of the program of an International film festival to the act of turning around a globe. The juxtaposition of all those countries and the cultural richness they exude is at the same time thrilling and mesmerizing. One of the perks of working in close contact with guests is that you are directly confronted with the realities they represent and looking after them feels, in a way, like taking a little trip every time.
The most obvious way of experiencing another culture through cinema is having the great fortune of discussing a film presented at a festival with the person who made it. Of course it does not happen very often and it is always depends on the circumstances and on the person you are dealing with, but especially directors who are at the beginning of their career are normally eager to share their ideas on their works. I still remember a very moving conversation with a Mexican director who, starting from personal experiences, had portrayed a young boy who had decided to escape from home and hide on the roof of his parents’ house for a few days. Just as deep was a conversation with the director and interpreters of a documentary about a group of girls playing basketball in Iraq and all the daily challenges they had to face. The life span of both conversations was the same, early adolescence, declined according to the latitude and context where the film was set and certainly miles apart from what I was experiencing as an adolescent of that age.
Depending on the festivals, working with guests also means organizing activities for them apart from the screenings. These occasions are always great chances to be confronted with other cultures, even more so if the festival takes place outside Italy. For example, one of the highlights of a foreign festival where I worked was the sauna party, which meant taking all the guests to a lovely wooden traditional sauna in the middle of snowy woods and spending the evening there, sweating and chilling out outside while sipping a bottle of beer, with the alternative option of jumping into a hole in a frozen lake to cool down. Guests were coming from completely different cultural backgrounds and had very diverse ideas about temperatures, leisure activities, drinking habits and nudity. Being able to accommodate everyone’s needs and, most importantly, making everyone feel at ease was at the same time one of the most bizarre and interesting examples of “cultural mediation” I can think of when looking back.
Another episode that comes to my mind is a walk I took with a very young director among festival venues. She was from Cuba and had never seen the snow in real life, but only on TV. It had never crossed my mind that this could be the case for someone, being born at the foot of the Alps and used to all that white. I will never forget the moment when snowflakes started swirling around and she asked me what they were. Experiencing the excitement of witnessing such a natural phenomenon for the first time through her eyes was a moment to treasure.
Finally, working for a festival is also a chance to share your own culture with others, especially if the rest of the team is multicultural. After innumerable lessons about Bollywood films and icons by the Indian and Pakistani guys in my team, I felt a cinematographic moral duty to give something in return. So, towards the end of the festival, when things had slowed down a bit and there was some time off, I took them to the outdoor cinema on the beach to watch “Nuovo Cinema Paradiso” by Giuseppe Tornatore. Besides being a milestone of Italian film history, it seemed to me a perfect example of the power of cinema and the never-ending possibilities it offers to grow and learn.