Sunday, March 30, 2014

Il Valore della Cultura




Colloquio tra Valentina Gosetti, Stipendiary Lecturer in French, Balliol College and Trinity College, Oxford e Salvatore Dimaggio, Corporate Advisor, Founder and Head, Meet the Manager.



Cultura come strumento di promozione sociale e di riqualificazione di una comunità.



V.G.: Come immaginare un mondo senza cultura? La cultura è un bisogno umano, non una scelta. Rinnegare la cultura, o sgualcirla, è rinnegare ciò che ci rende umani, è abbruttirci. Che la cultura sia un bisogno lo dimostra la storia dell’umanità. Basta pensare a quante volte donne e uomini abbiano istintivamente risposto ad una situazione di crisi scrivendo, dipingendo, o componendo una canzone. Durante la Guerra Civile spagnola, per esempio, molti risposero all’orrore scrivendo poesia, anche i contadini, dimostrando un’urgenza, una necessità di comunicare la propria esperienza al prossimo, al futuro, o forse anche una forma di resistenza dell’umano in ciò che è più disumano, come lo è una guerra civile. L’invenzione del fuoco è anche l’invenzione del racconto, del tramandare una certa esperienza attraverso un linguaggio magari metaforico e quindi molto più universale. La cultura, e la letteratura in particolare, è un modo dell’uomo di raccontare se stesso, di riflettere su se stesso, di imparare dagli altri, e di tentare di comunicare l’incomunicabile attraverso linguaggi quali la poesia. Come immaginare un essere umano privato da ogni forma di cultura? E quindi sì, penso proprio che la cultura sia un elemento essenziale per la riqualificazione di una comunità, insieme all’educazione, un diritto da difendere a tutti i costi, entrambi strumenti di democratizzazione, fondamentali per il superamento della diversità di classe e per raggiungere l’ideale dell’uguaglianza. La cultura non è elitismo, è l’opposto dell’elitismo.


S.D.: Spesso, nel dibattito politico ed istituzionale che variamente si articola tramite la stampa e la convegnistica, ci si chiede se la “cultura sia un buon affare”. Ovviamente tale questione porta con sé, fatalmente, una sorta di meta-questione implicita che attiene alla validità o meno, del misurare la cultura sulla base di criteri mercantili.
I dati ci dicono che mai come oggi, la proposta culturale ed i musei in particolare, riescono a generare consistentissimi introiti e ciò spinge il management di queste istituzioni a renderle sempre più in linea con una fruizione delle opere, degli spazi e dei servizi al visitatore, concepite in modo attuale ed accattivante.
In Australia l'industria culturale-creativa contribuisce per più di 86 miliardi dollari all'anno all'economia nazionale.
Nel Regno Unito, l'Arts Council ha risposto alla questione posta dalla culture secretary Maria Miller sulla bontà del finanziamento delle arti in un periodo di contenimento della spesa, con la pubblicazione di una relazione indipendente che sottolinea come il settore delle arti generi £ 7 di PIL per ogni £ 1 di sussidio statale.
Illuminanti sono in tal senso anche le tante esperienze di gentrification di successo, avvenute tramite lo strumento dell'innesto in un'area metropolitana di strutture a vocazione artistico culturale.



Un mondo che parla più lingue differenti: fenomeno da salvaguardare o ostacolo nelle interazioni?



V.G.: Assolutamente da salvaguardare! Impariamo dagli errori altrui e difendiamo i nostri dialetti, o meglio, le nostre lingue locali. La Francia, per esempio, sta ora combattendo per il recupero delle lingue locali dopo decenni di politiche linguistiche repressive e centralizzanti, quando parlare patois era considerato una vergogna e punito nelle scuole. Ora molte lingue stanno morendo, e quando questo succede a causa di politiche che non hanno saputo essere lungimiranti è una perdita culturale imperdonabile, un vero crimine alla diversità culturale! Non vedo nessun conflitto fra una dinamica transnazionale e la protezione delle lingue locali, anzi vedo un mutuo arricchimento. L’ideale è essere aperti al nuovo, alle nuove lingue, alle nuove culture, e nello stesso tempo salvaguardare il nostro bagaglio culturale, per contribuire a nostra volta ad un mondo culturale con più sfumature possibili.


S.D.: Nella lingua coesistono due anime: quella di codice che reca con sé secoli, se non millenni di cultura (ricordiamo il celebre “le parole sono metafore morte” di Lugones) e quella di strumento che consente l'interazione tra le persone ed i popoli. A seconda che consideriamo maggiormente l'uno o l'altro aspetto, desideriamo maggiormente censirne e conservarne ogni possibile variante e sfumatura, oppure, al contrario, ridurre e sintetizzare verso una comoda ed universalistica standardizzazione.
Il British Council riferisce che entro il 2020, due miliardi di persone studieranno inglese.) Il vantaggio derivante dal parlare la lingua più utile in ambito internazionale costituisce un deterrente allo studio di altre lingue: solo il 10% degli americani nativi è in grado di parlare una seconda lingua, rispetto al 56% dei cittadini dell'Unione europea.
Nessuno oggi nega che parlare fluentemente più lingue sia importante per raggiungere e consolidare posizioni lavorative ed istituzionali di rilievo, ma ciò non toglie che l'inglese sia la lingua più imprescindibile per il successo del business globale al momento. La rampante economia cinese ed il suo ruolo di player sempre più potente al livello internazionale, non mutano questo stato di cose: anche in Cina sempre più persone stanno attualmente studiando inglese, più che in qualsiasi altro paese. Addirittura 100.000 madrelingua inglesi attualmente insegnano lì.



Costruire una carriera dopo una formazione umanistica.



S.D.: La forza del pensiero scientifico nella nostra comunità e la capacità di scienza e tecnologia di disegnare e ridisegnare la nostra società in base al percorso delle proprie evoluzioni, sembrerebbero costringere in un ruolo secondario le competenze umanistiche. Un percorso di studi umanistici, agli occhi di tanti, non offre grandi opportunità per una carriera d'eccellenza, ma le cose non stanno così.

Una ricerca del New College of the Humanities, suggerisce che il 60% dei dirigenti del Regno Unito hanno lauree umanistiche o comunque in scienze sociali. Per molti datori di lavoro, una buona laurea umanistica testimonia l'abnegazione, l'entusiasmo, la creatività e la capacità di elaborare e sintetizzare dati ed informazioni. Questi percorsi accademici sono la garanzia che il profilo in questione ha le doti giuste per essere efficace nella posizione da occupare.

V.G: La letterature e la poesia sono fonti inesauribili di ricerca, potenzialmente infinite. Quindi sì c’è ancora molto da scoprire nel campo poetico e letterario. Sarei disonesta se non ammettessi, tuttavia, che di questi tempi la carriera accademica, soprattutto in poli d’eccellenza, non è una passeggiata, it’s not a walk in the park come direbbero gli Inglesi. Molte delle poche posizioni accademiche che si aprono sono a tempo determinato (sì proprio così, questa è la situazione anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti), ci sono spesso centinaia di domande per un solo posto da parte di persone qualificate, per non parlare delle rarissime posizioni a tempo indeterminato, una vera battaglia e competizione spietata, seppur la selezione sia basata sulla meritocrazia. Un tipo di carriera, quella accademica, che richiede determinazione, costanza, testardaggine e soprattutto un grandissimo amore e una sconfinata passione per il proprio lavoro. Un tipo di attività che si confonde col quotidiano, un lavoro nel quale non esiste una vera differenza fra ore lavorative e ore libere, un costante vortice di pensiero critico e creativo che se non appassiona, diventa impossibile da sostenere.
Io sono arrivata a Oxford grazie al dipartimento di Lingue dell’Università di Bologna che nel 2007 offriva uno scambio Erasmus con Balliol College uno dei più antichi College dell’Università di Oxford. Dopo la Laurea triennale sono quindi partita per Oxford in Erasmus, ma poi ho deciso di fare ufficialmente domanda per un Master (specialistica) e dopo aver finito il Master anche per un dottorato di ricerca, scegliendo di concentrandomi sulla letteratura francese. Sono stata infatti colpita dall’eccellenza del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Oxford. Ho anche deciso di rimanere sempre affiliata a Balliol College sin dai tempi dell’Erasmus; Balliol è e sarà sempre nel mio cuore per tutto il supporto, la serietà e l’incoraggiamento. Mi sento ancora onorata, e anche molto intimidita, di fare parte di questa grande comunità che comprende scrittori come Graham Greene e Aldous Huxley, premi Nobel, e Primi Ministri! Questo è per me fonte di grande ispirazione e un costante promemoria: c’è ancora molta strada da percorrere, molto da imparare, da studiare, da capire…